La donna che non muore.

07.05.2019

di Stefania Leone 

Recensione del saggio: "Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno" di Massimo Recalcati. 

"Bambina mia,
Per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all'ultima rosa, fino all'ultima piuma.
Tutto il regno per te.
E invece ti lascio baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno.
Ira nelle periferie della specie.

E al centro, ira.
Ma tu non credere a chi dipinge l'umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perché è facile farlo.
Noi siamo solo confusi, credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci
di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
Tocca a te, ora,
a te tocca la lavatura di queste croste
delle cortecce vive.
C'è splendore
in ogni cosa. Io l'ho visto.
Io ora lo vedo di più.
C'è splendore. Non avere paura.
Ciao faccia bella,
gioia più grande.
L'amore è il tuo destino.
Sempre. Nient'altro.
Nient'altro. Nient'altro".

(Mariangela Gualtieri, Bambina Mia)

Una vita desiderata

"Benedette, scrive Rilke, siano le mani della madre. Benedetto il sostegno che offrono alla "rugiada" e ai "giorni" della vita. Benedetta la "pianta" della madre e la sua memoria".  Con queste splendide parole, Massimo Recalcati, introduce il suo saggio titolato Le mani della madre, in cui mostra, con il suo inconfondibile linguaggio insistente e brillante, un lavoro denso e profondo che affronta il tema delicato della maternità. Il libro è un tuffo nel mare aperto di un prezioso incontro con la figura materna, nella sua estatica esperienza di costruttiva generatività. È l'incontro con il volto della madre che svela la bontà di un desiderio materno capace di rendere fertile la vita di un bambino. La vita di un figlio è vita desiderata se si nutre della presenza dell'Altro materno.

È un libro che racconta alle madri il modo singolarissimo con cui l'amore può salvare il figlio dall'insensatezza dell'esistenza, dal dolore di esistere. È un testo che scuote il lettore, lo disarma di fronte alla propria origine, lo ribalta, lo interroga. In questo splendido testo è possibile ritrovare le tracce di un rapporto che ha aperto o chiuso la nostra esistenza. Tutti noi siamo figli di qualcuno. Non esiste autogenerazione. Possiamo evitare o scegliere di diventare genitori, ma tutti noi proveniamo dall'Altro, tutti noi abbiamo un'origine. Ho affrontato la lettura di un libro che mi ha letta. Un libro che ha letto la mia storia personale, il rapporto intenso che ho vissuto con mia madre. Non si può scrivere nulla sulla maternità, senza trascinare nel discorso, la filiazione e l'eredità. Il libro di Recalcati è una escursione approfondita sull'importanza del ruolo materno nella trasmissione del desiderio di vivere. Una donna che diventa madre è, e deve necessariamente essere, una donna che mantiene vivo il proprio desiderio.  L'autore prova ad investire il mistero della maternità nel tempo del declino della sua rappresentazione patriarcale. Il padre-padrone, con la voce grossa e dai modi ferrei, considerato come la testimonianza di una Legge inumana, ha prodotto "una versione della madre altrettanto ingombrante". Dove c'è stato un padre-padrone, abbiamo avuto una madre devota al sacrificio.

©stefanialeone2017
©stefanialeone2017

L'ideologia patriarcale, in cui riconosco gli echi di una infanzia vissuta tra la voce grossa e lo sguardo severo, ha strutturato, per la propria sopravvivenza, una donna "tutta madre", una madre del sacrificio, una donna che, diventando tutta madre, muore soffocando il proprio desiderio. Maria contro Eva, ossia, madre contro donna. La rappresentazione patriarcale della maternità rinnega la donna "diversa", quella che guarda oltre la casa e la cura dei figli, la donna che non è tutta madre. In questo scenario familiare, una madre che conservasse il suo essere donna, non era accettabile pubblicamente, perché una "donna che rifiutava di appiattirsi sulla sola maternità, rinunciando alla propria libertà, portava con sé lo stigma di un'anarchia pericolosa e antisociale che doveva essere redenta con gli strumenti della morale pedagogica, della psichiatria o dell'emarginazione sociale" scrive Recalcati.

Nella versione patriarcale della famiglia, una donna che curava solo la famiglia, sacrificava il proprio talento. Ma se "la libertà sociale e sessuale acquisita dalle donne negli ultimi decenni ha, infatti, sovvertito quella rappresentazione", è opportuno riflettere sulle versioni patologiche della maternità nel tempo in cui la donna prevale sulla madre, "una donna ipermoderna che vive i figli come un handicap". Sono i fantasmi che scatenano nuove forme di madri. La soluzione alla madre del sacrificio, non può essere la donna che si afferma professionalmente sacrificando l'esperienza della propria maternità. Una donna che rifiuta l'Altro, che teme la presenza dell'Altro, si può considerare un risultato della rigida educazione patriarcale? Se da un lato abbiamo donne che rifiutano l'esperienza della maternità, dall'altro osserviamo donne che, adottando pratiche "fai da te", hanno il potere di generare un figlio senza il legame affettivo con l'Altro. Questa autosufficienza ha dirottato il desiderio del Due (desiderare un figlio), verso la volontà dell'Uno, (volere un figlio) come atto di affermazione estremamente personale della donna. Una questione profondamente etica ed attuale che ritrovo in un passaggio del libro, quando Recalcati descrive la maternità come autosufficienza dell'atto generativo spiegando che "la maternità non dipende più dalla capacità generativa e dal sesso del genitore", non dipende più dalla generazione sessuale dei corpi e "prescinde dal desiderio di maternità come evento che scaturisce da un legame amoroso". Il sesso è stato colonizzato dalla scienza, "nel tempo in cui la nozione neutra di genitore (1 e 2) sembra voler sostituire quella del padre e di madre". Recalcati a questo punto si chiede: "ha ancora senso porsi il problema della differenziazione simbolica tra funzione paterna e funzione materna? Nel tempo in cui il desiderio di maternità si emancipa completamente dal riferimento immediato alla madre come generatrice, come colei che mette alla luce del mondo un figlio, cosa resta della madre?". 

Sono quesiti che si riannodano al tema dell'eredità tanto caro all'autore. Perché è tanto importante discutere oggi di eredità? L'importanza della "funzione materna nel processo di filiazione e di umanizzazione della vita" ci mostra come "l'idealizzazione della madre "tutto amore" finisca per alimentare solo sterili fantasmi di onnipotenza". La madre che "piega" la donna al suo sacrificio e la donna che "nega" la propria maternità, sono due versioni patologiche della figura materna. Se la rappresentazione patriarcale ci ha trasmesso un modello di femminilità, in cui la donna è l'incarnazione del peccato, oggi assistiamo ad una condizione opposta. La donna che rinnega la maternità, sente il figlio come un ostacolo alla sua ambizione professionale. Da un lato la "madre tutta madre" e dall'altro la "donna tutta donna". L'insegnamento di Jacques Lacan mostra come l'esistenza del desiderio della donna, non assorbito totalmente in quello della madre, possa considerarsi una conditio sine qua non affinché il desiderio della madre si conservi generativo. E se il desiderio materno è generativo, esso può considerarsi realizzato appieno perché "solo se la madre è "non-tutta-madre" il bambino può fare esperienza di quell'assenza che rende possibile il suo accesso al mondo dei simboli e della cultura". Ciò che resta della madre è l'esistenza di una cura non anonima, amore per il nome proprio del figlio. Una madre capace di vivere l'amore del "particolare più particolare", che rende insostituibile il proprio figlio, in un mondo dominato dal discorso del capitalista e dalla turbolenza del consumismo, realizza in modo sano la funzione materna.

I volti di una madre

Le mani sono il primo volto della madre, il primo volto che segna la presenza della madre nella sua cura "singolare", il volto capace di "alleviare l'angoscia, di sottrarre la vita all'abbandono assoluto in cui è gettata". Le mani che soccorrono la vita che viene alla vita, aggrappandosi alle mani dell'Altro, l'Altro materno. Le mani paragonate ad un aratro, che accarezzano il corpo del bambino, seminando "lettere, memorie, segni". La madre è, attraverso le mani, l'Altro che non lascia che la vita del figlio cada nel vuoto, - è il nome del primo soccorritore - direbbe Freud. La funzione fondamentale della maternità è quella di accogliere la vita. Questa funzione è racchiusa in una parola biblica: eccomi! È la parola di una madre che presta il suo soccorso, le sue mani, la sua cura. Eccomi è la risposta al grido del bambino. Ognuno di noi è stato quel bambino quando ha rischiato che la sua vita precipitasse nel vuoto. Abbiamo gridato nel buio della notte, abbiamo conosciuto il soccorso e quindi fatto esperienza della maternità. La madre - per Recalcati - è colei che soccorre la vita per non lasciarla cadere nel nulla, che ci tende le mani mantenendo la nostra vita nell'essere. Le mani sono il primo volto della madre.

Il secondo volto è lo sguardo. Il bambino incontra il primo volto del mondo nello sguardo della madre. È lo sguardo della madre che identifica il volto del mondo. È attraverso lo sguardo della madre che il bambino vede il mondo. Attraverso lo sguardo della madre il bambino si specchia, si vede, si riconosce. Solo attraverso il volto della madre, il bambino può incontrare il suo volto. Solo grazie alla presenza dell'Altro, si può costituire la sua vita. Lo stadio dello specchio, teorizzato da Lacan, struttura l'identità del soggetto perché può "riconoscere se stesso solo attraverso l'Altro, cioè solo attraverso l'alterità dell'immagine di sé che lo specchio gli restituisce". Questo è l'insegnamento della dialettica servo-padrone di Hegel, che Lacan ricava a suo modo, nelle categorie della Fenomenologia dello spirito, attraverso la rilettura della sezione titolata autocoscienza, che gli permette di definire il desiderio dell'uomo come un desiderio che dipende dall'Altro, desiderio di essere riconosciuto da un altro desiderio. Recalcati tiene a sottolineare che "il volto non è solo il volto della madre ma il volto del mondo custodito nel volto della madre. Il volto della madre non è solo "lo specchio" che restituisce il volto del figlio al figlio ma è il primo volto del mondo". Un primo sguardo felice della madre, uno sguardo sereno, soddisfatto, aperto, consente di dilatare l'orizzonte del mondo del bambino. L'incontro con il volto del mondo, attraverso il volto aperto della madre, costituisce un incontro aperto, gioioso. Viceversa, se il bambino incontra, nello sguardo materno, solo tristezza, egli non incontra il mondo perché il volto triste della madre copre il mondo. 

Il desiderio della madre, la sua capacità di guardare il mondo in modo desiderante, costituirà la porta di accesso al mondo del bambino. Uno specchio positivo consentirà al bambino di guardare oltre l'orizzonte materno, che non può esaurirsi nella coppia madre-bambino. Nel caso di uno sguardo assente della madre, lo specchio restituirà al bambino un volto del mondo cupo, chiuso, causando angoscia e minando in tal modo la "possibilità" di accedere alla bellezza del mondo, alla sua potenza. Il volto della madre, la gioia con cui vive l'attesa, assumono, nella definizione dell'identità del bambino, un ruolo indispensabile. Recalcati insiste sul duplice aspetto dell'esperienza materna definendolo come un "mistero dell'immanenza assoluta che è indice di un'assoluta trascendenza". In questa particolare condizione la madre accoglie il figlio che vive nelle sue viscere, abita il suo ventre, si nutre del suo sangue, galleggia e sprofonda nei liquidi del suo corpo, eppure gli è sconosciuto, straniero, indecifrabile. La madre genera la vita del figlio, ma non la possiede. Ospitare "la vita nella vita" è saper vivere una rara esperienza di immanenza straordinaria, che è sempre il figlio di un Altro. Il mistero della maternità della Vergine Maria, madre "umana" del figlio di Dio, indica la maternità come esperienza che custodisce una assoluta trascendenza. L'estraneità del figlio in grembo, è il segno di una trascendenza che si annuncia, è l'indicazione di una ospitalità di una vita che la madre non possiede. La vita del figlio è attesa dal desiderio della madre. Senza il desiderio della madre, la vita del figlio rischia di cadere nell' esistenza priva di senso a cui occorre dare un senso. Bisogna costruire il senso attraverso la trasmissione del desiderio materno. La madre prepara il posto del figlio nel mondo. L'attesa di una madre è scandita da diverse attese: attesa della venuta al mondo, attesa delle ciglia, attesa della prima parola che "sgorga" tra le sue "lallazioni". La nascita del figlio porta con sé la nascita di una nuova lingua che Lacan nomina lalingua (lalangue), "fatta di carne, gesti, bisbigli, emozioni, segni, lallazioni, suoni", che non risponde ancora alle leggi del linguaggio, ma che ne costituiscono la base che precede l'accesso al linguaggio alfabetico. È una lingua che viene prima della lingua codificata dall'umanità.

Madonna del latte, Ambrogio Lorenzetti
Madonna del latte, Ambrogio Lorenzetti

Il seno è il terzo volto materno. Il seno della madre non è solo l'oggetto del soddisfacimento della domanda di nutrimento, ma è il segno della presenza dell'Altro, del desiderio dell'Altro materno, il segno dell'amore e della sua cura, il simbolo della madre che cura il particolare più particolare del proprio bambino. Non basta la soddisfazione dei bisogni primari per far crescere una vita. Occorre offrire al bambino un "lievito" indispensabile, "un alimento che non si trova tra gli alimenti" ci insegna Recalcati. Dove c'è madre, c'è cura singolare mai anonima. È il desiderio puntuale della madre rivolto verso quel figlio, che alimenta la vita e la salva dal precipizio del "non senso". La trasmissione del desiderio avviene attraverso la presenza del segno di un amore materno che non è solo soddisfare un bisogno. Il desiderio materno trasmette il sentimento della vita perché "mentre la madre del seno dona quello che possiede, la madre del segno è attraversata dalla mancanza, dona il suo amore, e donare la propria mancanza, ha un valore inestimabile poiché per Lacan amare è dare all'Altro quello che non si ha". Il seno soddisfa la domanda di amore, risponde con un segno della propria presenza, un dono che restituisce un senso alla vita del figlio.

La dimensione dell'assenza

Un figlio ha bisogno sicuramente della presenza della madre: le mani, il volto, il seno. Ma ha altrettanto bisogno della sua assenza e "per questa ragione la presenza della madre non esclude, bensì implica sempre, la dimensione dell'assenza". Per Melanie Klein è l'assenza che si pone come condizione fondamentale della creatività: "solo se si apre il vuoto, solo se si sperimenta e simbolizza la perdita dell'oggetto, diventa possibile il gesto creativo".

Mentre la madre custodisce nel grembo il proprio bambino, il suo desiderio spinge la vita del figlio fuori dalla propria vita, si prepara già per il tempo della separazione. Risulta fondamentale saperla perdere questa nuova vita che viene alla vita e insegnare al proprio figlio a "camminare", ad "andarsene". In Lessico Famigliare, Recalcati, per sottolineare l'importanza "vitale" della separazione della madre dal proprio bambino, paragona questa necessaria separtizione, ad un momento preciso del parto, in cui occorre dare "un'ultima spinta, un ultimo spasmo" senza il quale la madre soffocherebbe il figlio che sta per venire alla luce. Si tratta di un passaggio importante per una madre che libera il proprio figlio per lasciarlo "vivere", lasciarlo "camminare", renderlo "desiderante". 

Al contrario, una madre che divora il proprio frutto, possiamo paragonarla, secondo un' immagine proposta da Lacan, ad una bocca di coccodrillo, una bocca intesa come rappresentazione della versione patologica e patriarcale della madre. In ogni madre, esistono due madri: una che trattiene e l'altra che lascia andare. È il paradosso della maternità ossia la presenza simultanea di due madri. La separazione della madre dal proprio bambino si intreccia con la tentazione di appropriazione. In ogni madre regna questa convivenza contraddittoria. Si tratta di una duplicità che Recalcati individua in un racconto biblico molto noto in cui si narra di "due madri che si rivolgono al giudizio del re Salomone per accertare a chi appartiene il figlio appena nato che entrambe dichiarano essere proprio". Una preferisce la proprietà alla vita del figlio, l'altra vuole la vita del figlio e rinuncia alla proprietà. L'accusa reciproca delle due madri avanza un eccesso di presenza, un eccesso di alimento: "una delle due madri si sarebbe coricata sul proprio figliolo soffocandolo". Questo insegnamento indica come una madre troppo presente, eccedendo nella sua presenza, nella protezione, possa fatalmente essere la causa della morte del proprio figlio. Recalcati ricorda che "Gesù riporta alla vita figlie e figli ingabbiati dai legami familiari troppo stretti e soffocanti" liberando il desiderio del soggetto dalle attese degli Altri per rendere la sua vita generativa e capace di produrre frutti.

Per vivere una maternità sufficientemente sana, è opportuno che il desiderio della donna, che è diventata madre, non si risolva mai tutto in quello della madre. Lasciare andare o tenerlo con sé? Non è il padre che separa la coppia figlio-madre, ma è il desiderio della donna che, se resta tale anche quando diventa madre, favorisce la separazione. Esiste oggi un modo sufficientemente sano di vivere la maternità? Cosa consente oggi la separazione simbolica della madre dal figlio? "I bambini hanno bisogno che le loro madri restino donne, che in quella madre, la donna non muoia" suggerisce Recalcati. "Così la donna salva il bambino dal rischio di essere assorbito dalla madre". Se non c'è "assenza" di una madre, il figlio muore. Questo per dire che la donna non deve esaurire la propria vita nell'orizzonte del figlio, ma deve costruire una vita ricca di interessi, una vita generativa, che consenta al figlio di liberarsi, di essere "abbandonato", di essere differente dai genitori, di divergere dalle aspettative della famiglia, perché "il modo di essere figli giusti è quello di essere eredi, e il modo giusto di essere eredi è essere eretici" afferma Recalcati. Il vero dono che un genitore possa offrire al proprio figlio è fidarsi del suo segreto, consentire la sua erranza, favorire il viaggio, lasciarlo andare, saperlo "perdere", perché l'amore genitoriale è saper amare ciò che del figlio è incomprensibile. La donna che non muore, è una madre capace di amare il segreto del figlio perché lo lascia libero di errare.

La recensione è stata pubblicata sul numero n. 27/ 2019 della rivista Reportages, storia e società. 

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