Separarsi

07.03.2019

La mia recensione dedicata alla quarta puntata di Lessico Amoroso titolata "Separazioni",  andata in onda il 4 marzo 2019, in seconda serata su Raitre.

In un contesto sociale in cui l'accelerazione sembra essere l'unico strumento capace di sostenere l'esperienza del fallimento, è inevitabile individuare una formazione sentimentale insufficiente che teme l'amore, le sue implicazioni, l'esposizione assoluta, la vertigine, la mancanza e il rischio della perdita e del fallimento. "La società moderna manca di un linguaggio per dire l'amore", afferma Roland Barthes.

Massimo Recalcati prova a costruire un Lessico Amoroso partendo dalla gioia della promessa fino ad addentrarsi nel luogo più buio della separazione. Si tratta di una esperienza irripetibile, preziosa, di alto profilo culturale condotta con onestà intellettuale e profonda etica professionale, che sceglie la televisione come mezzo esclusivo per raggiungere quei luoghi in cui la psicoanalisi è ancora una terra straniera. Il discorso amoroso di Recalcati incide per l'abilità con cui egli sa ricercare le parole giuste, le parole con cui costruisce un lessico convincente che ci lascia la possibilità di instaurare un moto, una ricerca, una parola profonda dell'amore.

Lessico amoroso eredita dal lessico famigliare una impostazione singolare, silenziosa, che onora la parola di Recalcati in un invaso scenico avvolgente, dai toni scuri, ingombrato da un gioco di riflessi che restituiscono uno stile vagamente surrealista. L'arte è di casa. Lo spettatore è assorto, attende la fine di ogni puntata per porgere interrogativi su cui Recalcati torna con la possibilità di ampliare nuovi significati.

Assistiamo dunque al battesimo della psicoanalisi in tv che, per la prima volta, si accosta ad un pubblico variegato, che impara a riconoscere in Massimo Recalcati la testimonianza del modo semplice, insistente con cui lo psicanalista anima un lessico fondato sulla lezione culturale della poesia, della pittura, della letteratura, della musica e della cinematografia. Estrapola immagini toccanti che commuovono. Il palco di lessico amoroso diventa così il luogo in cui si elegge la parola dell'amore.

La separazione è l'oggetto indagato con sottile acume da Massimo Recalcati, che riprendendo il filo di un discorso lasciato in sospeso, ci ricorda che gli amori, anche quelli grandi e meno grandi, portano con sé la vocazione dell'eternità. L'aspirazione di ogni amore è il "per sempre", il per sempre è la parola dell'amore.Il taglio della separazione provoca un dolore, la separazione scatena una ferita in chi viene abbandonato, lasciato solo. La ferita ricorda che la rappresentazione dell'amore, che Recalcati definisce sferica, intesa come unità, i due che fanno uno, è un'illusione. "L'amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due" per dirla con le parole di Philip Roth.

L'amore ti spezza, ti apre in due, perché quando siamo nell'amore, siamo nella mancanza e la mancanza ci espone al rischio della perdita, comporta inevitabilmente una totale e assoluta esposizione alla relazione con l'altro, dunque, alla possibilità imprevedibile della separazione. L'amore concede il diritto di dire "non è più come prima" in quanto è una esperienza di libertà. L'esperienza dolorosa della perdita trasforma la persona amata, quella più vicina, più prossima in quella più lontana, più estranea. Chi resta fa esperienza della trasformazione della presenza, sempre presente dell'oggetto amato, in una assenza.

Recalcati introduce nel suo lessico termini nuovi, ci parla della "separtizione" che adotta dal suo maestro Jacques Lacan, per definire l'esperienza della perdita, che non è semplicemente "prendere la distanza in esteriorità", inteso come allontanamento, ma si tratta di un taglio di una parte di sé che provoca uno svuotamento, una emorragia libidica diceva Freud. Recalcati ha ragione quando sostiene che bisogna "frequentare la ferita", perché bisogna necessariamente ricordare, in quel processo, che Freud, indica come un lavoro del lutto. Non esiste un lutto indolore, non esiste un lutto rapido. Il lutto esige, dice Freud, un supplemento di tempo. Si tratta di un lavoro melanconico, ci vuole tempo per sgomberare "l'assenza che è diventata presenza".

Ci fa soffrire l'immagine di "un amore finito che si allontana verso un altro mondo come un'astronave che cessa di mandare segnali". Recalcati disegna la fine di un amore come una dichiarazione d'amore senza destinatario, una lettera che non ha più un indirizzo.

Il lavoro del lutto è necessariamente lento, penoso, alternativo a due approcci veloci, non impegnativi, che impongono la sostituzione e l'odio dell'oggetto perduto. Il nostro tempo è antilutto. Il nostro tempo incoraggia una reazione maniacale. Rapida. Il nostro tempo non conosce la solitudine come momento di produttività. 

Recalcati ci illustra come, nell'esperienza della solitudine, ci sia il soggetto, come direbbe Agostino, che torna presso di sé. In questo senso la solitudine è sempre produttiva. L'isolamento invece nega il rapporto con il mondo. Sostituire e odiare sono due risvolti del lavoro del lutto assolutamente improduttivi poiché la sostituzione è solo un lavoro di negazione e l'odio non separa, ma incolla.

Esemplare il modo in cui Recalcati sposta il discorso del lutto nel rapporto madre-figlia, per reperire l'effetto collante dell'odio. Il rapporto tra madre e figlia è un ravage, come lo definiva Lacan, un disastro. Legami disperanti in cui subentra, non raramente, una tensione che appare molto simile all'odio, ma l'odio è una forma micidiale di attaccamento che non incoraggia la separazione. La reazione maniacale della sostituzione e l'odio, non producono separazione, e senza separazione, non si può consentire al soggetto di riacquisire la libertà di amare un altro soggetto, Freud direbbe di reinvestire la propria libido. Ritornare al mondo.

Ma questa facoltà, questa assoluta libertà non implica forse il rischio di amare? Quindi meglio stare nel proprio Uno? Meglio chiudersi come lo straordinario animale protagonista de "La tana" nel celebre racconto di Franz Kafka, che costruisce una enorme tana fatta di ponti, cunicoli, piazze, fortezze? Non è questo forse il miraggio che indica la via migliore per proteggersi dal mondo? Ma nel labirinto sotterraneo, il sìbilo che arriva da lontano e scombina i piani, non ci insegna forse che non possiamo mai pensare davvero che sia possibile evitare il rapporto con l'altro? Come dire che noi non possiamo mai vivere senza l'amore.

Ogni amore finito rivela che c'è sempre un resto nel lavoro del lutto, non ci libera mai completamente. Il lavoro del lutto non si compie mai del tutto. Portiamo le ferite dell'abbandono come resti. Le cicatrici che ci liberano sono questo resto, un resto melanconico della elaborazione simbolica del lutto. Spetta a noi fare di queste cicatrici delle poesie. Il segnale più forte che ci libera è la leggerezza con cui ci riapriamo alla vita. 

Al link la quarta puntata: https://www.raiplay.it/video/2019/02/Lessico-amoroso

Al link la recensione pubblicata sul sito: https://recensionelessicoamoroso.wordpress.com/


© 2020 Blog di Stefania Leone Tutti i diritti riservati.
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia