La permanenza nei luoghi: una nuova etica per l'architettura.
Benevento, 6 giugno 2019
Convegno: Le dimensioni dell'etica. Una riflessione a più voci. Relatori: Antonella Tartaglia Polcini, Giovanni Carpinone, Stefania Leone, Lucia Gangale. Sala delle Lauree, P.zza Guerrazzi - UniSannio - Benevento.
Il tentativo di recuperare un rapporto tra l'esistenza umana e l'esperienza di essere in un luogo è utile per definire un nuovo principio etico per l'architettura. Quando parlo di dimensione abitativa, non intendo solo il luogo eletto ad ospitare una residenza, un rifugio, ma estendo il mio campo di interesse ad altre dimensioni, ad altre forme dell'abitare, come ad esempio la dimensione che accoglie: la formazione, la cura, la cultura, lo sport, la fede, la politica. Non solo dunque una dimensione privata, ma anche pubblica, che riguarda la polis, il territorio, il vivere comune. Sono tutti luoghi in cui l'uomo prende coscienza del rapporto con il contesto e si relaziona con l'Altro. L'architettura è una disciplina capace di istituire "luoghi" che trascendono il costruito, crea manufatti che oltrepassano l'immanenza della struttura, poiché la sua "funzione", non si esaurisce nella materialità ma offre un'esperienza singolare che accoglie la vita dell'uomo in un sistema di relazioni. Un'architettura possiede un'identità legata al contesto, guarda ad un paesaggio, un paesaggio urbano o naturale, e come tale, non è mai anonima. L'architettura vive di luce, aria, colori, durezza, flessibilità, continuità, discontinuità. L'architettura è strutturata per conservare la presenza di un legame tra l'interno e l'esterno. Tra dentro e fuori. L'architettura è irripetibile, non standardizzabile. Non esistono due opere architettoniche uguali. Non esistono due progetti identici. Non è il risultato di una catena di montaggio. La sua struttura è calcolata per resistere a sollecitazioni imprevedibili. Un'opera è pensata in un dato periodo e appartiene alla storia dell'uomo, non segue una moda, non è di passaggio. È concepita per durare.
Sulla base di quanto premesso, voglio provare a stabilire una nuova etica per l'architettura, nuova perché riguarda il vivere contemporaneo, interrogando la vocazione che incarna questa disciplina nella sua capacità di rispondere alle istanze che muove la società. Quando si discute di architettura non possiamo escludere il territorio e la società in esso insediata. L'architettura soddisfa la domanda di individui che appartengono ad un collettivo, risponde allo statuto psicologico di una massa. Il nostro secolo assiste alla metamorfosi di un contesto sociale che adotta contorni sempre più "liquidi", più incerti, non percettibili. Siamo cittadini di un mondo che è divenuto una grande città. Una dimensione globale scandita da "filamenti urbani", dove i confini si sono diluiti, smaterializzati, annientando ogni differenziazione a favore di una omologazione universale. Marc Augé, nel suo ultimo saggio dal titolo "Chi è dunque l'altro?", ci illumina sull'arte del décalage, come possibilità per potersi sottrarre all'uniformità che ci vorrebbe tutti uguali. Ma di quale società sto parlando? Parlo di una società in Rete! Una società del consumo che elogia l'evanescenza delle relazioni umane, l'accelerazione delle comunicazioni, la provvisorietà delle scelte. Una società di individui incapaci di stabilire un rapporto con un altro soggetto. La nostra è una società mortificata da quello che Jacques Lacan definisce "Il discorso del capitalista", che piega il nostro essere ad una iperattività maniacale, in cui l'oggetto è sempre presente.
Ha ragione Massimo Recalcati quando, durante una conferenza dal titolo "il disagio contemporaneo e la sua cura", tenuta in occasione dell'inaugurazione della sede Jonas di Brescia, nel cercare di individuare un denominatore comune delle variegate forme che assume il disagio contemporaneo, sostiene che esiste "una sorta di fatica soggettiva a desiderare, una sorta di eclissi, di spegnimento dell'esperienza umana del desiderio". Se il desiderio, come egli lo descrive, è "l'espressione della mancanza, l'espressione generativa, vitale, creativa, della mancanza", il nostro tempo ha assistito ad un cambiamento che ha trasformato la mancanza in vuoto. Noi tutti siamo fatti di mancanza, ma questa singolare dimensione, si differenzia sostanzialmente da quella imposta dal discorso del capitalista. L'esperienza del vuoto impone il consumo dell'oggetto come possibilità di salvare le nostre vite, di risolvere il dolore di esistere. In realtà tutti gli oggetti, che il mercato offrirà, non saranno mai in grado di colmare il vuoto, ma produrranno illimitatamente nuovi vuoti. Gli economisti parlano di una obsolescenza accelerata, programmata, di quel particolare processo che viene attivato dalla produzione di beni soggetti a un rapido decadimento delle proprie funzionalità. Gli oggetti "rapidamente perdono la loro efficacia, perdono il loro fascino, perdono il loro diritto di essere nuovi" per dirla con le parole di Recalcati. Stabilire una relazione con un altro soggetto diventa oggi sempre più difficile, lì dove il partner, è "sostituito" dall'oggetto. L'oggetto al posto del soggetto. Perché è così vitale entrare in relazione con l'Altro? La soggettività umana può costituirsi come tale solo grazie alla presenza dell'Altro. È ciò che apprendiamo dalla teoria dello stadio dello specchio di Jacques Lacan che, riprendendo a suo modo la dialettica servo-padrone di Hegel, illustra come il desiderio dell'uomo sia sempre desiderio dell'Altro, un desiderio di essere riconosciuto da un altro desiderio.
Le relazioni consentono di allontanare il fantasma dell'isolamento che non permette l'accesso ad una reale esperienza di essere in un luogo, di essere presenti in un dato ambiente, di essere capaci di vivere la permanenza come possibilità di relazionarsi con il contesto e con gli altri. La mancata capacità di abitare uno spazio svuota di senso il luogo, lo desertifica. Nel nostro vivere contemporaneo ci affacciamo alla possibilità di occupare edifici-fantasma, percorrere città-fantasma. Se le aree urbane si indeboliscono, le aree suburbane si popolano di "non luoghi", definiti da Marc Augé, come spazi di circolazione, di consumo, in cui l'uomo è decentrato da se stesso e dall'Altro. Viviamo in dimensioni virtuali, dimenticando lo spazio fisico in cui ci muoviamo.
Nel suo saggio titolato "Il complesso di Telemaco", Massimo
Recalcati avverte che "la connessione
alla Rete può non potenziare ma supplire la connessione alla vita. Certo,
talvolta può ampliare la connessione alla vita, ma può anche provocarne una
sconnessione. L'inconscio stesso, che in realtà si nutre di desiderio
dell'Altro, finisce per essere rimpiazzato dall'oggetto tecnologico. La
virtualità del legame sostituisce l'impatto erotico con il corpo dell'altro". La presenza dell'Altro può essere tale solo se reale, il reale della sua
presenza, la presenza del corpo. Non parliamo dunque di una presenza astratta. L'architettura è concepita per ospitare
"corpi". Il dimensionamento degli spazi è pensato misurando i movimenti del
corpo e la distanza tra i corpi. Bruno Munari nel suo celebre testo "Da cosa nasce cosa", descrive la
prossemica come "l'insieme delle osservazioni
e delle teorie sull'uso umano dello spazio. Essa studia il rapporto tra
l'individuo e il suo ambiente, le situazioni di contatto o di non contatto tra
le persone, esamina le "distanze personali" che si stabiliscono automaticamente
in gruppi di persone che sono ferme alla fermata dei veicoli pubblici o in coda
a uno sportello postale".
Le relazioni avvengono quando c'è la
presenza reale dell'altro in un luogo tangibile, un luogo che possiamo osservare,
annusare, ascoltare, toccare. Percepire strutture che diventano segni. A questa
solidità si contrappone la sfrenata libertà di movimento di informazioni, capitali,
merci, persone, mezzi, che spinge tutti
a volere tutto, in un godimento illimitato, immediato. Marc Augé avanza l'ipotesi di costruire
una antropologia del web! Egli sostiene che internet "è uno strumento prodigioso, di espansione. In forte progresso. Nei
paesi più ricchi ci sono più utilizzatori. Tutto il sapere del mondo è a
disposizione. Ma questo, pronto ad essere manipolato, può essere conosciuto
solo da chi già conosce qualcosa! Il problema con internet è che le relazioni
avvengono in maniera istantanea e continua".
Grazie alla Rete tutti siamo "connessi", tutti viaggiamo su linee virtuali, abbiamo a disposizione una vastità di informazioni, un numero considerevole di interlocutori, un numero infinito di oggetti! Siamo georeferenziati, sorvegliati, controllati, quindi più "accessibili", ma incapaci di instaurare un contatto reale.In teoria siamo "liberi" di relazionarci con chiunque. Sembra non esserci alcuna Legge, la Legge che dovrebbe "interdire" una vita senza limiti. Per Freud esiste una Legge di cui il Padre è il simbolo e si trova a fondamento di tutte le altre leggi, quella che non troviamo nei codici, quella non scritta, che fonda la vita umana, la vita della polis e ci spinge a vivere una vita che abbia un senso entro un limite. La Legge simbolica di castrazione, la Legge della parola, la Legge delle Leggi, introduce nel cuore degli esseri umani l'esperienza fondamentale dell'impossibile, l'incontro con l'esistenza del limite. Non è possibile infatti avere tutto, essere tutto, sapere tutto, godere di tutto. Il limite consente di desiderare, di essere generativi.
L'esistenza del limite insegna che non possiamo abitare la rete dimenticando la nostra presenza in un mondo reale. Che senso avrebbe una architettura senza la presenza, la fruibilità, la permanenza dei corpi umani? Qual è il modo di abitare gli spazi in un tempo in cui cresce l'offerta dei servizi on-line? Possiamo generare architetture capaci di restituire esperienze singolari, realizzare luoghi in grado di trattenerci, creare opere che non ci isolino dal mondo, ma ci invitino ad abitare il mondo. Le architetture, che ancora oggi sono in grado di meravigliarci, di suscitare in noi un'esperienza rara, sono quelle legate allo spirito del luogo, quelle che desideriamo riabitare. Nella progettazione è indispensabile entrare in contatto con l'area di intervento. Ogni area possiede delle caratteristiche che definiranno le scelte degli elementi costruttivi e dei materiali. L'architettura è percepita nello spazio tridimensionale. Ma sappiamo bene che il tempo è la quarta dimensione. Uno spazio si percorre in un "tempo" spostando il nostro punto di vista. Si può scegliere di procedere con un passo lento o veloce, si può sostare, si può osservare, si può toccare. Nei luoghi costruiamo ricordi, percezioni. Un progetto cuce uno spazio capace di incamerare la luce adeguata, ritaglia il paesaggio, sceglie la qualità dei materiali che sentiamo attorno a noi. Percorrere un luogo vuol dire sentire la "temperatura" delle stagioni. L'architettura contemporanea sembra aver dimenticato l'irriducibile presenza dell'uomo. Molte opere sono costruite per stupire. Le forme improbabili sfidano le leggi della fisica. Costruzioni sempre più alte "interrompono" la continuità naturale di un paesaggio. Lo skyline è sempre più articolato. Non è la funzione a generare la forma, ma è la forma ad inventarsi una funzione! Lungo le nostre aree periferiche cresce la proliferazione di costruzioni orizzontali che definiscono paesaggi privi di identità, spersonalizzati, che spingono il fruitore ad estraniarsi dal luogo, ad eclissarsi. Siamo in perenne connessione, preferiamo abitare in rete e non il luogo in cui mangiamo, dormiamo, camminiamo, parliamo, amiamo.
Possiamo credere che la navigazione on-line sia in verità una posizione "securitaria" che ci "salva" dal contatto con l'Altro? L'architettura può rompere questo stato di "chiusura" attraverso la definizione di spazi capaci di offrire una reale "permanenza" quale sinonimo di apertura al mondo, all'ambiente e alla presenza dell'altro? In che modo l'architettura può concorrere a ribaltare il discorso del capitalista? In che modo l'architettura, rispettando la sua vocazione sociale, può farsi carico di definire progetti capaci di allontanare il fantasma del consumo? In che modo possiamo ristabilire una nuova condizione di permanenza? Come porre la permanenza a fondamento di una riflessione etica, radicale, che incoraggi un'attività architettonica in grado di veicolare la convivenza tra diversi modi di abitare, sempre in bilico tra il reale e il virtuale? Come può l'architettura, trattenere un flusso di relazioni che viaggia sulla rete? Come possiamo creare un nuovo modo di abitare che non ruoti attorno al mezzo tecnologico? O al consumo di oggetti?
Creando, a mio avviso, un'architettura singolare, mai anonima, che risponda ad una funzionalità non alienante. Provare a ridefinire gli spazi assecondando il desiderio di individui che chiedono di sentirsi meno soli. Una architettura in cui l'essere umano percepisca la caratteristica eccezionale del luogo, la particolare appartenenza ad un agglomerato urbano. Occorre focalizzare la dimensione abitativa sul reale desiderio di "essere qui e ora" in un dato contesto storico e geografico. Convalidare la realizzazione di ambienti, esterni ed interni, capaci di incoraggiare una relazione con l'Altro. La "permanenza nei luoghi" come antidoto alla fuga in rete, la permanenza nei luoghi come principio fondante teso alla definizione di opere inclusive e partecipative. Istituire l'importanza della permanenza nei luoghi, come principio etico, è fondamentale per offrire alla società una reale esperienza che dia senso al suo "singolare essere" nel mondo