Mantenere il sorriso
di Stefania Leone
Il "cattivo" alberga nel cuore del soggetto.
Esso viene localizzato esternamente nello "straniero" (nell'odiato)
ma solo per preservare l'identità ideale della soggettività. [1]
Un fantasma di purezza attraversa l'uomo ipermorderno.
L'ideale di purezza rende impossibile ogni confronto, ogni sforzo di poesia che possa rendere una comunità capace di accoglienza e solidarietà. "L'uomo non è altro che un Dio mancato" - direbbe Sartre [2] . Sono le catene del Buono e del Bello, che tengono il desiderio lontano da un godimento distruttivo. Desiderare porta con sé un perdersi, un effetto di annichilimento soggettivo [3]. Tenebra è sicuramente la parola più eloquente, per descrivere l'aderenza maledetta di un sentimento rovinoso al desiderio umano.
L'amore e l'odio si impastano; quando amiamo, siamo sempre esposti alla tentazione di cadere nell'ombra di un abisso mortifero. Eros e Thanatos coabitano nel nostro essere. Per amare si deve attraversare l'odio. Prima dell'amore c'è la solidità della propria identità. Amare è disarmare l'Io. Qual è la risposta all'azione del Male, se non la forza salvifica del Bene? "Porgere l'altra guancia" (Matteo 5,38-39) non è forse una delle grandi lezioni di Gesù? Non rispondere al Male con altro Male, ma lasciare che la malvagità dell'Altro "si sfinisca in sé, non trovando ciò che cerca" - direbbe il teologo Dietrich Bonhoeffer. È questa strutturale sollecitazione, tra il Bene e il Male, che occorre assorbire quando si discute di umanità, e quindi, di comunità. Gli essere umani, in quanto tali, appartengono ad una aggregazione sociale quale espressione democratica del linguaggio.
Sullo sfondo dell'inossidabile convivenza tra il Bene ed il Male, Massimo Recalcati celebra la terza edizione di un programma già noto al pubblico di Rai Tre. È un Lessico Civile, quello atteso e inaugurato, l'ultimo lunedì, di un marzo difficile da raccontare. È un nuovo percorso, trasmesso nella primavera del duemilaventi, per provare a fissare storicamente lo spartiacque di un cambiamento epocale della nostra vita individuale e collettiva. Lessico Civile tocca le corde del vivere comune, della dimensione politica della polis, delle pulsioni che l'uomo non è in grado di governare, delle conseguenze sociali di una umanità che oscilla, tra il desiderio di appartenenza e il desiderio di libertà. I lessici di Recalcati non sono compartimenti stagni; giocoforza, anche questo Lessico, è situato in una continuità discorsiva con le prime due edizioni, dedite rispettivamente, alla famiglia e all'amore. La terza edizione di Lessico affronta le implicazioni civili delle nostre paure e guarda alla incapacità di riconoscerle. È il Lessico che invita a considerare lo straniero, come il volto dell'ingovernabile da cui non si può fuggire. Lessico Civile è una lezione "socialmente utile" perché sollecita il pensiero critico; è un'eredità che ha il sapore di un'erranza non consolante, mai familiare.
Mancherà sicuramente a molti l'appuntamento serale con la testimonianza generosa di un maestro che offre un'occasione rara di approfondimento culturale. Occorre andare oltre il conformismo, per scoprire ciò che offre la parola di un visionario che realizza un lessico, in cui non c'è solo la psicoanalisi, ma molto Altro.
Lo spartito di Recalcati è organizzato con una plasticità persuasiva che dà voce al fitto bagaglio metaforico inequivocabilmente attuale; sceglie ancora una volta di raccontarci la psicoanalisi in modo chiaro, diretto, attraverso il cinema, la poesia, la storia, la pittura, la filosofia. Egli prepara il terreno su cui è possibile accendere un incontro, una tyche che sconvolge. L'ascolto delle prime note, di una delicata colonna sonora, scritta da Luis Bacalov per Il postino, segna il passo di chi avanza in un viaggio nella psicoanalisi e nell'arte. È una sequenza causale, tra arte e psicoanalisi, quella che Recalcati costruisce in una carrellata diacronica di opere pittoriche e fotografiche. I frammenti cinematografici assorbono il suo silenzio, interrompono la sua parola. I toni caldi e i paesaggi italiani della fotografia di Vittorio Storaro, raccontano drammaticamente, le tensioni umane dei personaggi novecenteschi della pellicola di Bernardo Bertolucci. L'immagine trasmessa, attraverso lo schermo televisivo, viene percepita come il taglio di un boccascena studiato secondo una ponderata evanescenza tonale. La simmetria è la matrice geometrica che conduce il gioco delle riprese. La sfumatura delle luci, nel loro comporsi, ricordano le geometrie del cubismo di Georges Braque. È rilassante lasciarsi sorprendere dal moto surrealista delle superfici, che secondo studiati allineamenti, squarciano la realtà, dissolvendo e ricomponendo la sagoma di Massimo Recalcati. Vibra, sullo sfondo, la tridimensionale ondata fluida delle figure animate, che come un viraggio, tingono di colori diversi lo studio televisivo. Il tutto nero dello sfondo, offre risalto alla trasmissione delle immagini. Il risultato finale è indubbiamente un singolare montaggio che accompagna lo spettatore in una raffinata esperienza didattica.
Nella seconda puntata, il lavoro etico che Massimo Recalcati conduce è un'attenta esfoliazione degli strati più sottili della violenza, dell'invidia e dell'odio. Egli parla tra la gente rivelando il meccanismo di una disciplina che indaga gli aspetti più scomodi della nostra esistenza. L'esperienza sperimentale di Lessico, se posso permettermi di definirla così, è un evento straordinario, che andando controcorrente, invita all'ascolto categorie sociali eterogenee. Non è forse questo lo spirito di un programma che dimostra di veicolare una vocazione civica? Non dovremmo, noi tutti, credere nella differenza come occasione imperdibile di crescita e di sviluppo sociale? Non è forse questo il tempo in cui è necessario parlare di odio, di invidia e di violenza? Non è forse arrivato il momento di offrire dignità e libertà all'essere umano, come individuo capace di esprimere un proprio pensiero critico?
Lessico Civile restituisce agli spettatori scene che smuovono le coscienze e aprono la "corazza". È a partire dal riconoscimento della difesa, che possiamo trasformare la durezza del confine in una leggera porosità. È il passaggio necessario che consente all'uomo di liberarsi del peso che chiude l'orizzonte della propria esistenza. Ma oggi, nel momento storico più singolare del nuovo secolo, in cui il trauma del Covid-19 sconvolge le nostre vite, è ancora possibile che questi confini siano rigidi? Recalcati ci invita a riflettere sulla possibilità di vivere pienamente solo se i confini diventano porosi. Forse è questo il momento in cui dovremmo adottare una apertura delle nostre barriere. Donarsi all'Altro, si rivela oggi, la nostra salvezza. È riconoscere il cuore straniero interno, a salvarci la vita.
Possiamo calare il lavoro compiuto da Recalcati, sul territorio, per comprendere le possibili conseguenze di una mancata elaborazione di quelle passioni umane che sconvolgono l'ordinarietà di una vita e la quiete di una polis. L'impegno sociale di Lessico Civile prova a ricordare che siamo in una comunità in quanto abitiamo la casa del linguaggio, come condizione necessaria al processo di umanizzazione della vita. L'odio è il tema che Recalcati ci invita a sviscerare nelle sue trame più cupe e nascoste, partendo dalle caratteristiche che esso può assumere: sadico, lucido, programmato, puro, invidioso. La pulsione a costruire barriere, ad escludere l'Altro come scarto, a negare la dignità umana, è la spinta acefala di un fantasma di contaminazione, che consolida il "potere" dell'uomo, nel proprio Uno.
L'ospitalità è sempre antitetica allo scontro. Grazie a Recalcati affrontiamo il Lessico Civile, invocando l'eco biblica conosciuta nell'edizione di Lessico Famigliare. La lettura laica del Vangelo secondo Luca (Luca 15:11-32), riprende l'agito misericordioso di un Padre che non invoca la Legge, ma accoglie il figliol prodigo. Questa parabola racchiude un insegnamento democratico che elegge l'accoglienza come possibilità di addivenire ad un incontro reale, un incontro possibile e non rovinosamente ideale. È la mente democratica che accoglie e dà la parola all'Altro straniero. La vita democratica della polis è accogliere la differenza e dare la parola. La presenza della parola, sospende la violenza.
Laura Boella, ospite della puntata, ci suggerisce che il linguaggio dell'odio produce una degradazione della persona. L'odio ha il pensiero corto, è un pensiero senza pensiero, si chiude al confronto, nega l'incontro con la parola differente, sospende la Legge che umanizza la vita. Il puro odia sempre l'impuro incarnato dal diverso credo religioso, dal diverso orientamento politico, dal diverso sesso. È l'odio rivolto
all'"essere fatto così". È la banalità del male! Nel sentimento rovinoso dell'odio reperiamo sempre una spinta eccessiva della negazione dell'Altro, dei suoi diritti. Lo si vede bene in una scena di sadismo, dura da digerire, interpretata da uno straordinario Gian Maria Volonté. L'odio non si ferma sul bordo della incomprensibilità della differenza, ma si spinge oltre la barriera del linguaggio. L'odio non è la disordinata aggressività, ma un preciso disegno di distruzione.
La Legge non può mai essere lo strumento di vendetta nelle mani di chi abusa del proprio potere per aver ricevuto un'offesa personale. La tutela dei diritti umani è sempre misurata sul confine tra la libertà dell'individuo e l'abuso del proprio potere. In ogni reato è contemplata eticamente la tutela della dimensione umana. I diritti civili sono inviolabili ed irrinunciabili. La legge guarda all'essere umano, alla sua fragilità, alla sua paura, al suo cuore di tenebra, alla sua imperfezione. Se il bene e il male convivono in ognuno di noi, tutti possiamo potenzialmente commettere, o subire, un reato. Noi tutti, in quanto naufraghi, possiamo sbagliare, avere paura quando inciampiamo. In ogni uomo esiste un inconscio "criminale"- sosteneva Freud. Nessuno è immune dal terrore e dal buio tenebroso di una allucinazione. Noi tutti, nella ingovernabilità dell'esistenza, corriamo il rischio di trovarci in una posizione di vittima o aggressore. Gesù diceva: "chi è senza peccato, scagli la prima pietra (Giovanni 8,7)". Vivere è perdonare la nostra insufficienza, la nostra mancanza, riconoscere i nostri errori perché siamo soggetti al fallimento, alla caduta, alla disperazione. La vocazione della democrazia è quella di sospendere la vendetta come misura per compiere giustizia. Per tale ragione non si può umanamente accettare, che la risposta della Legge, sia la distruzione di una esistenza. Ogni esistenza ha un valore unico. La legge della Parola e quella degli uomini, coincidono, solo quando si traducono le differenze, quando si accetta la convivenza primordiale di Caino e Abele.
Lo sforzo democratico è quello di tradurre l'attrito di lingue diverse, di ascoltare una lingua che diverge. Sospendere ogni forma vendicativa che neghi la dignità umana è una forma civile che regna nella polis. Il Lessico Civile di Recalcati denuncia il valore "democratico" di una differenza che diventa discorso. Se la politica è l'arte del dialogo, la vita della polis è civile, se accetta l'ostilità di chi "protesta" per riscattarsi. L'ospitalità non è la forma più alta della democrazia? Se nella polis, ogni conflitto si trasforma in dialogo, siamo sulla soglia della democrazia. La politica è una disciplina che accoglie le istanze delle persone, delle masse, perché è ascolto, fatica, pazienza, differimento delle scelte, e trasforma la via breve del conflitto, nel percorso più lungo della parola. Non è forse il dialogo delle parti, a rendere la convivenza nella polis, un luogo democratico? La risposta democratica al conflitto non è mai speculare perché sospende la vendetta. La forma democratica della polis è credibile solo quando si convalida l'accoglienza del diverso, dello straniero.
Ma lo straniero chi è? È il cuore di tenebra, lo "sputo", il plus ingovernabile che scombina la tendenza omogenea del principio di piacere [4]. L'Altro straniero è lontano dalla immagine ideale della nostra identità che ripara dal brivido della vita e dal brivido della morte. È la permeabilità del confine che mette in relazione l'Io e l'eteros. Il "corpo" ingovernabile non è fuori, ma dentro di noi, è estimo al soggetto - direbbe Jacques Lacan. Accogliere il diverso, ci rende fratelli. Abitiamo tutti nella stessa casa, la casa della parola. L'odio invidioso porta solo rivalità. Non dovremmo forse essere tutti fratelli? Alleati? Siamo tutti eredi di Caino! Caino unico figlio al mondo, incarna l'Uno nella sua dimensione suicidaria, e come Narciso, ama la propria immagine ideale irraggiungibile. In fondo Caino, (nei versi profondi di Mariangela Gualtieri) chiede che venga accolta la sua offerta, la sua fatica immensa, i frutti del suo "fare". Caino e Abele incarnano un rapporto di "rivalità" perché l'invidia è sempre tra prossimi. Caino, nel porsi rivale di Abele, nega il suo rapporto di fratellanza. Dove c'è rivalità, non c'è "amicizia" possibile. L'invidia è tormento per ciò che vorremmo essere, per la vita che vorremmo vivere. È invidia per la gioia che l'invidiato manifesta. Ma si può uccidere per il sorriso di un altro? Sì, se il pensiero corto dell'odio prende la via della violenza.
Se l'odio invidioso nasce dalla fascinazione; se l'invidioso prova odio perché "adora in fondo" l'essere che vorrebbe essere e non è; la forza generatrice del desiderio può trasformare la fascinazione dell'invidioso in una vita capace di costruire il proprio essere, abbandonando l'immagine ideale si sé stessi? Se l'invidia è triste, il desiderio mantiene il sorriso. Se l'odio invidioso è rivolto ad una vita capace di ridere, sorridere è la manifestazione di una vita piena di vita, è la manifestazione del proprio essere. Gioire della propria pienezza non è mai godere della proprietà di beni o del proprio potere. Una vita ricca non si chiude nell'orizzonte stretto delle ricchezze materiali, ma riconosce la ricchezza del proprio desiderio, che ogni volta, si manifesta in varie forme. Questo spiega, a mio avviso, come sia possibile, a volte, trovare anche nelle persone più povere di beni, una ricchezza interiore che si rivela più forte, più tenace, più generosa di altre più "ricche". È una forza che nasce dalla disperazione, direbbe Erri De Luca. Le persone che mantengono il sorriso incarnano una passione più forte delle avversità. Il sorriso si accende sui loro volti. Mantenere il sorriso è il segno di una vita desiderante ricca di talenti, di generosità, di gentilezza, di delicatezza, di rispetto per il prossimo. Mantenere il sorriso è avere fede nel nostro segreto e aprirsi al segreto dell'altro. Mantenere il sorriso è l'arma del Bene che respinge il Male. Mantenere il sorriso è fare luce nelle tenebre, è risorgere.
--------------------------------------------------------------------------------------- 1 Massimo Recalcati, Sull'odio, Bruno Mondadori ©2004, Introduzione.
2 Cfr. Ivi, p. 17
3 Cfr. Ivi, p.19
4 Cfr. Ivi, p. 28
Benevento, 9/4/2020